Berti riprende la rubrica Chat&Coffee, per andare alla scoperta di un giovane talento nel mondo del design che come noi vede nel parquet uno dei protagonisti nelle scelte di interior design. Si tratta di Vincenzo Provenzano che dal 2010 lavora a Jeddah come Chief Architect per lo studio UDG (Urban Design Group). Dopo una iniziale formazione presso studi tecnici locali si specializza sui temi di sostenibilità ed architettura ecocompatibile. Dal 2010 è a Jeddah (KSA). L’abbiamo incontrato per scambiare quattro chiacchiere ed avere un punto di vista privilegiato su un mercato interessante e sempre fonte di nuovi sviluppi e progetti come l’Arabia Saudita.
Quali sono le motivazioni che spingono un giovane architetto italiano a muoversi all’estero?
Potrei banalmente dire che in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, la motivazione principale che ci spinge ad andare all’estero sia quella di trovare semplicemente un lavoro.
In realtà il problema è molto più complesso di quanto non sembri, dato che in Italia gli architetti delle ultime generazioni hanno trovato in genere diversi ostacoli ad inserirsi nel mondo del lavoro, sia nel settore privato che presso le amministrazioni locali.
Per quanto riguarda il settore privato nello specifico, secondo me negli ultimi anni in Italia si è assistito ad una progressiva diminuzione dell’ autorevolezza della figura dell’architetto. A tutto ciò va unita la considerazione del calo impressionante subito dal settore delle costruzioni, cosa avvenuta del resto anche in Europa.
Ma alla fine quello che più di tutto ci spinge a dare una svolta netta alla nostra vita, spesso stanchi delle difficoltà che troviamo in patria, è la voglia di lavorare in una realtà più dinamica rispetto all’Italia: nel mio caso ho la possibilità di portare avanti progetti in un paese in continua espansione e con una importante disponibilità economica come l’Arabia Saudita. La stessa cosa avviene, d’altra parte, in molti altri campi. Molti giovani professionisti e ricercatori, che in Italia non hanno la possibilità di affermarsi, vanno infatti all’estero dove riescono ad emergere perchè incoraggiati da situazioni più favorevoli.
Come si trova a lavorare in Arabia Saudita? Quali sono le sfide e le possibilità che presenta questo mercato?
Direi che mi posso ritenere piuttosto fortunato: ho la possibilità di lavorare come Chief Architect in una realtà giovane, professionale ed in continua crescita. UDG (Urban Design Group) nasce, infatti, come studio di interior design, ma si sta progressivamente affermando anche nel campo dell’architettura : la mia sfida è proprio quella di conquistare sempre più spazio in questo settore proponendo una progettazione di qualità che si distacchi ed emerga dalla realtà progettuale locale, che spesso rimane ferma su concetti non più così attuali. Ovviamente qui spesso ho la possibilità di curare progetti piuttosto importanti: non solo per le dimensioni, ben oltre i nostri standard, ma anche in termini di qualità dei materiali utilizzati e di elementi su misura.
Quanto è importante e come è recepito il Made in Italy all’estero?
Qui in Arabia Saudita e nel Medio Oriente in generale, il Made in Italy gode di grande prestigio: il cliente sa bene che se vuole dei materiali di qualità, in termini di finiture o arredi, sicuramente si deve rivolgere al mercato italiano che è indiscutibilmente sinonimo di lusso.
Anche i progettisti italiani godono di una certa autorevolezza: questo grazie non solo alla stima di cui il nostro Paese gode da queste parti e nel mondo, ma anche alla formazione che abbiamo ricevuto nelle nostre università, che troppo spesso disprezziamo.
Ci parla di un suo progetto in particolare?
Il progetto di cui mi sto occupando in questo ultimo periodo, e che ormai è in fase di completamento, è un complesso di quattro abitazioni in riva al mare in una zona di recente espansione a nord di Jeddah.
Nasce come ampliamento di un resort in stile balinese affacciato sul Mar Rosso ed appena costruito: la richiesta del cliente riguardava l’ampliamento dello stesso con la creazione di una sezione separata di quattro ville per i propri figli.
Dato che il lotto a disposizione si presenta stretto e lungo, con il lato corto affacciato sul mare, il problema principale che si poneva era quello di dotare tutte le abitazioni di una vista mare.
La mia proposta ha avuto lo scopo di risolvere questo problema, unitamente alla volontà di proporre in chiave contemporanea un’architettura balinese non solo nella forma, ma soprattutto nella sostanza. Sono partito, quindi, da quegli elementi morfologici che determinano la specificità delle costruzioni balinesi, senza per forza soffermarmi sugli elementi decorativi tipici dei luoghi d’origine.
Le quattro abitazioni sono così state integrate in un unico complesso (basato su un modulo di 1,20×1,20 metri) articolato in differenti volumi disposti ad U attorno ad una corte centrale, aperta solo in direzione del mare. Gli elementi fondamentali sono rappresentati da differenti piattaforme collocate su diversi livelli degradanti verso il mare, in marmo Bianco Inici, alternate da diversi specchi d’acqua, parti a giardino ed una piscina integrata in un portico al pianoterra.
Il tutto è stato pensato come un insieme di masse e vuoti che si alternano cercando di mantenere il più possibile la continuità’ tra spazio interno ed esterno: le masse sono rappresentate da parallelepipedi di pietra senza aperture in cui si trovano i bagni ed altri servizi; i vuoti sono costituiti invece da grandi vetrate scorrevoli con telai in Iroko ed opportunamente trattate allo scopo di filtrare i raggi solari.
I materiali scelti sono essenzialmente tre: pietra, marmo e legno. La pietra appena levigata è stata usata per i rivestimenti delle facciate e di alcuni ambienti interni. Il marmo (formato 60×120 cm e 120×120 cm, con finitura acciaio satinato) è stato utilizzato per la maggior parte dei pavimenti interni ed esterni. Il legno, invece, per alcuni rivestimenti interni ed esterni e per i pavimenti delle camere da letto. Il parquet utilizzato è un rovere mocha, realizzato da Berti appositamente per questo progetto: avevo, infatti, bisogno di un legno scuro che avesse la stessa tonalità degli infissi e delle travi a vista, ma al tempo stesso resistente all’umidità per essere utilizzato anche nei bagni, in molti casi aperti sulle rispettive camere da letto. Berti è stata la migliore risposta per questa esigenza. Si tratta di un Rovere termocotto, che ha subito un sofisticato processo con lo scopo di aumentare la coesione e compattezza delle fibre, fornendo allo stesso tempo ottime proprietà meccaniche e di resistenza. Il processo di termotrattamento conferisce al legno un colore uniforme e più scuro: grazie alla regolazione di tempo e temperatura è stato possibile ottenere la tonalità adatta all’ambiente.
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